Un prodotto simbolo del Made in Italy finisce di nuovo sotto accusa: cosa c’è veramente nelle nostre bottiglie d’olio extravergine d’oliva?
L’olio extra vergine di oliva, da sempre considerato un tesoro della dieta mediterranea e simbolo della qualità agroalimentare italiana, è finito al centro di un “caso” che sta facendo tremare consumatori e produttori. Una recente ricerca condotta dall’Università di Messina ha acceso i riflettori su una realtà inquietante: una percentuale significativa degli oli analizzati contiene residui di pesticidi oltre i limiti di legge. Il rischio? Che ciò che portiamo a tavola ogni giorno potrebbe non essere così genuino come crediamo, nascondendo sostanze chimiche potenzialmente dannose.

Un team di ricerca ha analizzato 50 campioni di olio extravergine d’oliva provenienti da diversi paesi europei, Italia inclusa, distribuiti su tre stagioni di raccolta tra il 2021 e il 2023. I risultati sono sconcertanti: oltre un terzo dei campioni presentava tracce di pesticidi superiori ai limiti stabiliti dalla normativa europea. In particolare, sono stati rinvenuti composti come cipermetrina ed endosulfan in concentrazioni allarmanti, con livelli di esposizione che nei bambini superano addirittura la dose giornaliera accettabile.
Il paradosso dell’oro verde contaminato da pericolosi pesticidi
La notizia scuote soprattutto perché l’olio EVO (extra vergine di oliva) non subisce – almeno in teoria – processi di raffinazione chimica: ciò che arriva sulla nostra tavola è ottenuto semplicemente attraverso spremitura meccanica delle olive. Questo processo, se da un lato garantisce un prodotto più “naturale”, dall’altro non elimina eventuali contaminanti, rendendo ogni residuo di pesticida presente nelle olive un potenziale rischio per il consumatore finale.

A preoccupare è anche il fatto che i pesticidi non derivano solo da trattamenti diretti. L’uso massiccio e prolungato di fitofarmaci ha contaminato nel tempo il suolo e le acque, rendendo possibile l’assorbimento di sostanze tossiche anche in coltivazioni apparentemente “pulite”. Si tratta quindi di una contaminazione sistemica che non risparmia nessuno: né i piccoli produttori né le grandi etichette da scaffale.
Ma c’è una luce in fondo al tunnel, e arriva dal comparto biologico. Tra i sei campioni di olio bio analizzati dallo stesso studio, nessuno ha mostrato tracce di pesticidi. È un dato che fa riflettere, e che suggerisce quanto possa essere determinante una scelta più consapevole quando si fa la spesa. Mangiare biologico non è solo una moda: è un investimento sulla salute. Controlli più rigorosi, regole più severe e un sostegno concreto all’agricoltura sostenibile sono le uniche strade percorribili se vogliamo continuare a portare in tavola un olio che sia davvero simbolo di salute, territorio e autenticità. Leggere bene le etichette, informarsi sull’origine del prodotto e, quando possibile, acquistare direttamente da produttori locali di fiducia è la strategia migliore per i consumatori. Anche in cucina, la conoscenza fa la differenza…