Il tema della gestione delle scorie radioattive torna sotto i riflettori con l’avvio di un progetto che punta a una soluzione centralizzata a livello nazionale.
Si tratta di un’infrastruttura strategica e delicata, su cui si concentrano valutazioni tecniche, confronti istituzionali e dibattiti pubblici. Ancora non è stato deciso dove verrà realizzata, ma alcune aree del territorio sembrano essere più coinvolte di altre.
Tra ipotesi, documenti ufficiali e ipotetiche candidature, la questione solleva interrogativi importanti, legati non solo alla sicurezza e all’ambiente, ma anche all’economia locale e alla trasparenza del processo.
Nel 2023 sono state individuate 51 aree distribuite in sei regioni italiane.
Secondo la Carta Nazionale delle Aree Idonee (CNAI), stilata da Sogin e pubblicata dal Ministero dell’Ambiente, le regioni che ospitano potenziali siti sono: Basilicata, Lazio, Piemonte, Puglia, Sardegna e Sicilia. In totale, si contano 51 aree considerate tecnicamente idonee, con il Lazio – e in particolare la provincia di Viterbo – a guidare la classifica con 21 possibili siti.
Il Piemonte, la Basilicata, la Puglia, la Sardegna e la Sicilia seguono in ordine di numero di aree selezionate. In alcuni casi, come in Sardegna, si parla di diversi comuni nei quali si potrebbero insediare il deposito nazionale per rifiuti radioattivi a bassa e media attività. A questo si aggiunge la possibilità di autocandidature: finora, tuttavia, nessuna regione ha ufficialmente avanzato proposte concrete.
Il processo di scelta finale include una consultazione pubblica, indagini tecniche sui siti selezionati, e il rilascio dell’“Autorizzazione Unica” tra il 2029 e il 2030. Solo dopo questi passaggi – e in caso di mancato accordo tra Stato e territori – sarà il Governo, attraverso decreto, a decidere la località finale
Il via libera per costruire il deposito è previsto tra il 2029 e il 2039.
Secondo il ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, l’iter autorizzativo dovrebbe concludersi entro il 2029, con l’ente statale Sogin incaricato di coordinare le analisi e i pareri VIA/VAS nei 15 mesi successivi. La costruzione vera e propria potrebbe partire subito dopo e il deposito dovrebbe entrare in funzione nel 2039.
Il progetto è regolato dal Decreto Legislativo 15 febbraio 2010, n. 31, che recepisce la direttiva Euratom 2011/70, e prevede un unico deposito di superficie con un Parco Tecnologico annesso. Questa struttura servirà a stoccare rifiuti a bassa e media attività in modo definitivo, e rifiuti ad alta attività per periodi di durata limitata (massimo 50 anni), in attesa di un deposito geologico profondo.
Se i territori interessati non si presenteranno autonomamente o non si raggiungeranno intese locali entro i tempi stabiliti, lo Stato interverrà con un decreto del Presidente della Repubblica, deliberato dal Consiglio dei Ministri e integrato con la partecipazione del presidente della regione interessata. Diventa quindi cruciale la gestione delle relazioni Stato-territori, e il superamento dell’effetto “NIMBY” sarà decisivo per il futuro del progetto.
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