Negli ultimi anni, i selfie sono diventati un elemento onnipresente nella vita quotidiana di milioni di persone.
Catturare e condividere immagini di sé è ormai una pratica diffusa, trasversale a età, culture e contesti sociali. Ma cosa si cela dietro questa abitudine così comune? È solo un gioco d’immagine, o c’è qualcosa di più profondo che spinge gli individui a rivolgere la fotocamera verso se stessi?

La psicologia, sempre più interessata a fenomeni legati ai comportamenti digitali, ha iniziato a interrogarsi sulle implicazioni di questo gesto apparentemente banale. Il selfie sembra toccare corde diverse: può essere espressione di libertà, ma anche di vulnerabilità; può rappresentare un atto creativo, oppure nascondere dinamiche meno visibili.
Motivazioni e identità: il selfie come autoritratto moderno
Scattarsi un selfie non è un semplice atto narcisistico o una moda passeggera, ma un gesto che affonda le radici in una forma evoluta di autorappresentazione. Attraverso un selfie comunichiamo molto più che un volto: inviamo messaggi su come vogliamo essere percepiti, dove ci troviamo e quale immagine desideriamo trasmettere di noi stessi. Secondo alcune analisi, ogni selfie può essere interpretato attraverso cinque categorie semantiche: estetica, stato d’animo, personalità, contesto e motivazioni interiori.

Queste fotografie digitali continuano idealmente la tradizione pittorica dell’autoritratto, ma con una differenza sostanziale: la condivisione immediata e la possibilità di ottenere approvazione o critiche da parte degli altri. Il selfie, oggi, è uno specchio pubblico in cui cerchiamo conferme sul nostro valore personale.
In particolare, tra gli adolescenti, diventa un mezzo per esplorare la propria identità, rafforzare l’autostima e sentirsi accettati all’interno del gruppo dei pari.
Le ricerche psicologiche mostrano anche un legame tra la personalità e l’uso dei selfie: chi è più estroverso tende a scattarne molti, mentre il narcisismo e l’insicurezza portano a modifiche più frequenti e a un bisogno continuo di validazione.
Se da un lato il selfie può rappresentare uno strumento di espressione e valorizzazione di sé, dall’altro non mancano i rischi psicologici legati a un uso eccessivo e compulsivo. Alcune ricerche parlano di “selfite cronica” per descrivere chi arriva a scattare almeno sei selfie al giorno, spesso spinto da un bisogno costante di approvazione esterna. Questo comportamento può compromettere l’autostima, influenzare negativamente le relazioni sociali e avere ricadute sul benessere mentale complessivo.
In molti casi estremi, emerge quella che la psicologia definisce “triade oscura”: narcisismo, machiavellismo e tratti psicopatici.
Chi manifesta queste caratteristiche tende a condividere ossessivamente contenuti, utilizzare filtri per alterare la realtà e legare il proprio valore personale al numero di like ricevuti. La dipendenza dal feedback digitale può trasformare il selfie in una gabbia invisibile, alimentando ansia, depressione e senso di inadeguatezza.