A molti potrebbe sembrare incredibile, ma si può subire il licenziamento per l’utilizzo dei social anche al d fuori dell’orario di lavoro, ecco quando.
Ognuno di noi è ormai abituato a usare i social, strumento che tanti usano sia nella professione sia per motivi personali, al punto tale che spesso sin da ragazzini si inizia ad avere un profilo, così da omologarsi ai coetanei. Il loro uso dovrebbe però avvenire secondo alcune limitazioni, ben sapendo come sfruttarlo troppo possa generare una dipendenza da cui può essere difficile uscire.

Come è facile immaginare, sarebbe ovviamente opportuno consultare il proprio account solo quando si è davvero liberi da impegni e non certamente quando si è nell’orario di lavoro. Pochi però rispettano questa regola, incuranti delle conseguenze. In realtà, non si può escludere anche la possibilità di arrivare al licenziamento, misura che può esserci anche in circostanze in cui si pensa possa essere tranquilli.
Licenziamento e uso dei social: può davvero avvenire
L’idea di poter subire un licenziamento spaventa ovviamente tutti, soprattutto in un periodo come quello attuale in cui può essere quasi utopia trovare un altro impiego in tempi rapidi. E’ quindi inevitabile fare il possibile per conservare il proprio ruolo, con la speranza che l’azienda presso cui si presta servizio non viva situazioni di crisi che possono portare a una riduzione del personale.
A volte però, la decisione può arrivare su scelta del datore di lavoro se dovesse ravvisare comportamenti che non sono ritenuti consoni a quanto previsto dall’accordo sottoscritto al momento della firma del contratto. Tra le cause ce n’è una che a molti potrebbe sembrare eccessiva e invece è regolamentata dalla legge, ovvero l’uso eccessivo dei social network.

Attenzione, non ci stiamo riferendo alla consultazione di Facebook & co, durante l’orario in cui si è in servizio, cosa che è evidentemente proibita, ma a qualcosa che va al di là del turno che si sta facendo, con la possibilità quindi di commettere un’irregolarità più frequente di quanto si possa pensare. Il riferimento è a quando ci si trova in malattia, momento in cui si dovrebbe essere liberi di agire come si preferisce, anche se evidentemente non è così.
Una situazione simile è stata confermata recentemente dalla Corte d’Appello di Roma, con sentenza n. 4047/2025, che ha confermato il licenziamento di un lavoratore dopo avere verificato il suo continuo utilizzo dei social quando era assente per malattia. In realtà, il suo comportamento non si limitava semplicemente a girare tra i vari profili non sapendo come occupare il tempo, aveva anche pubblicato diverse immagini non gradite dal suo capo. In alcune di queste era in palestra, cosa non compatibile con il certificato del suo medico.
La “cacciata” di un dipendente può essere quindi giustificata, sulla base di un principio importante: se si verifica una condotta che comprende anche l’utilizzo dei social ma che contraddice il motivo per cui si è in malattia il licenziamento può essere giustificato. Questo può avvenire sulla base della violazione del rapporto fiduciario tra le parti, che dovrebbe sempre esserci tra dipendente e datore di lavoro.
Conseguenze di questo tipo potrebbero esserci anche in caso di ferie e permessi se dovessero essere ravvisate dal responsabile dell’azienda. E non si tratta dell’unico caso ravvisato dalla giurisprudenza, è bene quindi agire con la massima cautela se si vuole evitare il peggio.

Esiste però anche un caso opposto, anche se non avvenuto in Italia. In Spagna, infatti una donna era in congedo per un disturbo d’ansia ed è stata poi licenziata dopo avere iniziato un’attività come influencer. I giudici hanno ritenuto la misura illegittima dal Tribunal superior de justicia de Castilla, non incompatibile con la malattia, perché non pregiudicava la guarigione.